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Aspenia 2 2024


Aspenia 2 2024
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Aspenia 2 2024


Aspenia 2 2024
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Author : AA.VV.
language : it
Publisher: Gruppo 24 Ore
Release Date : 2024-06-20T00:00:00+02:00

Aspenia 2 2024 written by AA.VV. and has been published by Gruppo 24 Ore this book supported file pdf, txt, epub, kindle and other format this book has been release on 2024-06-20T00:00:00+02:00 with Business & Economics categories.


Aspenia, la rivista trimestrale di Aspen Institute Italia diretta da Marta Dassù, è stata fondata nel 1995 e, dal 2002, è pubblicata da Il Sole 24 Ore. Al numero in uscita alla fine del mese di giugno 2024 “Giochi di pace e di guerra” hanno contribuito tra gli altri Andrea Goldstein, Antonio Missiroli, Eva Cantarella, Ettore Miraglia, Simon Chadwick, Sushmita Pathak, Silvia Camporesi, Stefano Pontecorvo, Julian Lindley-French, Stefano Stefanini, Carlo Jean, Nathalie Koch, Patrick Clastres, Maria Rita Pierleoni, Daniele Popolizio. L’origine delle Olimpiadi riflette il connubio tra religione, mitologia e culto del corpo, fondamenta del mondo ellenico e invece osteggiato da quello romano, fino alla soppressione dei Giochi da parte di Teodosio nel 393. Ci vorranno quasi 1500 anni prima che il barone Pierre de Coubertin ne proponga la ripresa nel 1896. Per Aspenia esistono due modi di guardare alle Olimpiadi. Il primo come metafora di una sorta di geopolitica sportiva: i giochi di pace avvengono oggi in tempi di guerra. Con le loro conseguenze: basti pensare solo alla difficoltà di trattare la partecipazione degli atleti russi (senza bandiera nazionale). Il secondo è l’economia di un grande evento organizzativo, di straordinario impatto mediatico e con forti implicazioni di business. E soprattutto: conviene ancora organizzare un’Olimpiade? Riconoscendo il rischio che il modello tradizionale dei Giochi non sia più sostenibile, il Comitato olimpico internazionale (CIO) ha intrapreso una serie di riforme. Sport e competizioni olimpiche sono, quindi, metafora dello scontro tra individui e gruppi, regolato in modo preciso e rigoroso, con una dinamica che, in molti sensi, mima la selezione darwiniana e premia soltanto i migliori. Qui il merito conta davvero. Ecco perché le autorità sportive sono sempre più impegnate in una gara a inseguimento contro la pratica del doping. Aggiungendo poi le controversie sul professionismo e quelle sul metodo corretto di presentare il medagliere – la gerarchia delle nazioni – si arriva facilmente a comprovare la tesi di George Orwell sullo sport come simulazione della guerra. I conflitti scatenati dall’invasione russa dell’Ucraina e dall’attacco di Hamas a Israele continuano sotto i riflettori, quelli che insanguinano altre regioni del mondo – in particolare Sudan, Yemen, Repubblica Democratica del Congo, Siria e Myanmar – lo fanno nell’oblio generale. Per quanto si possano amare le Olimpiadi, è chiaro che lo sport non può avere un potere salvifico, né è ragionevole – e forse nemmeno lecito – chiedere allo sport di realizzare ciò che la politica non riesce a ottenere. Come per ogni mega evento, i Giochi pongono ovviamente il quesito ineludibile del rapporto costi/benefici. Con un quadro deludente, perché i costi sono sempre lievitati, diventando un fardello per il paese ospitante, e perché in molti casi gli investimenti nelle infrastrutture sportive hanno lasciato in eredità “elefanti bianchi”. Vale anche qui l’analogia con la politica internazionale: le ragioni del prestigio e del soft power sovrastano spesso le considerazioni strettamente economico-contabili. Gli interessi nazionali e i benefici intangibili prodotti dalle Olimpiadi non sono misure oggettive e non hanno una natura pienamente quantificabile. Lo sport professionistico finanziato dalle grandi aziende e dai governi era originariamente di marca occidentale, ma proprio come il capitalismo, invece di essere una manifestazione dell’“egemonia occidentale”, è diventato un grande ibrido. Ha ormai, da molti anni, caratteri definibili come “meticci” – basti pensare al Brasile nel calcio – e, quindi, molto diversi dal contesto culturale che inventò e praticò il colonialismo. I paesi che teoricamente fanno parte del Sud globale lo sanno perfettamente, ma possono fare leva sui sensi di colpa dell’Occidente e sulle sue stesse idiosincrasie – fino agli estremi della cancel culture – per guadagnare punti in chiave di soft power. C’è poi un’obiezione più specifica alla tesi “rivendicativa” degli eventi sportivi come specchio della competizione Nord-Sud: lo sport professionistico e la sua monetizzazione attraverso gli sponsor e i mezzi di comunicazione sono una forma di globalizzazione che però non ha mai “deciso” se essere un processo di espansione dei valori occidentali o diventare un suo superamento. È, quindi, rimasta in mezzo al guado e vive oggi una sua frammentazione, che potrebbe riflettersi sulle Olimpiadi del futuro. Le Olimpiadi francesi si tengono in un momento politicamente importante e rischioso per l’UE, subito dopo il voto per il Parlamento europeo e prima dell’insediamento della nuova Commissione, ma anche in un contesto internazionale che vive crisi acute e che verrà fortemente condizionato dall’esito delle elezioni americane. Dato il livello di ambizione diplomatica che la Francia ha sempre avuto, è chiaro che i Giochi sono visti da Parigi come la manifestazione di un modello organizzativo e di una “way of life” franco-europea. Al di là della forte simbologia delle Olimpiadi alcuni ingredienti essenziali del “modello europeo” vanno però oggi profondamente ripensati. L’imperativo della difesa comune dovrebbe logicamente produrre una forte spinta alla condivisione e aggregazione delle risorse per la sicurezza, proprio mentre potenze esterne come Cina e Russia tentano sistematicamente di dividere il vecchio continente: sia dall’esterno sia dall’interno, la coesione europea è messa costantemente alla prova. Se c’è un appuntamento olimpico che evoca rischi di questo tipo, l’edizione 2024 è sicuramente un “case in point”. Ed è, quindi, una sfida da vincere: non solo per gli atleti migliori, ma per la credibilità dell’Europa



Aspenia 1 2024


Aspenia 1 2024
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Author : AA.VV.
language : it
Publisher: Gruppo 24 Ore
Release Date : 2024-03-19T00:00:00+01:00

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Aspenia, la rivista trimestrale di Aspen Institute Italia diretta da Marta Dassù, è stata fondata nel 1995 e, dal 2002, è pubblicata da Il Sole 24 Ore. Al numero in uscita nel mese di marzo “Il nostro futuro artificiale” hanno contribuito tra gli altri Yuval Noah Harari, Maurizio Ferraris, Pierluigi Contucci, Daron Acemoglu e Simon Johnson, Massimo Gaggi, Mariarosaria Taddeo, William Jones, Maurizio Mensi, Giusella Finocchiaro, Alessandro Aresu, Tanya Singh e Pramit Pal Chaudhuri, Carlo Jean, Alberto Mattiacci, Luca De Biase, Gianni Riotta e Federica Urzo. Ci sono i pessimisti, o quantomeno quelli fortemente scettici: l’Intelligenza Artificiale costituisce un pericolo e il suo rapido sviluppo va frenato per salvaguardare il controllo umano sul proprio futuro. E ci sono poi gli ottimisti: non esiste una vera minaccia perché, almeno allo stato attuale, un software digitale non è un organismo e, dunque, non ha desideri né teme di essere privato di qualcosa. Oppure c’è una terza via: siamo di fronte a un tipo di intelligenza profondamente diversa da quella umana, a cui non dovremmo applicare gli stessi parametri. Quella che oggi chiamiamo “Intelligenza Artificiale Generativa”viene spesso accostata alle nuove forme incentrate sull’interazione linguistica come nel caso del famoso ChatGPT, che stimola la percezione di una macchina creativa, quasi con la capacità di immaginare. Una cosa poi da non dimenticare: l’IA è stata “selezionata” dall’intelligenza umana, e qualunque possano essere gli sviluppi futuri, perfino quelli parzialmente al di fuori del nostro diretto controllo, quel legame tra umano e artificiale resterà anch’esso inscindibile. L’IA generativa è però quasi sfuggente per gli stessi ingegneri che l’hanno programmata; è un vero enigma per chi dovrebbe metterla sotto controllo mediante regole giuridiche e procedure amministrative. Questo vale, a maggior ragione, per i possibili accordi internazionali: è più facile contare vettori e testate nucleari che quantificare le capacità “generative” di un software che usa magari grandi server dislocati in più luoghi e che accede a un immenso cloud. Parallelamente alla legittima ricerca di accordi tra Stati per la gestione e il controllo delle nuove tecnologie, ci si può aspettare comunque una dinamica competitiva di potenza che potrebbe facilitare un certo bilanciamento, per quanto precario. Basti pensare alla natura profondamente politica dei rischi e delle opportunità legati all’IA in chiave interna agli Stati: la Cina, come molti altri regimi autoritari e illiberali, vede nelle nuove tecnologie digitali soprattutto uno strumento ulteriore di controllo della sua stessa popolazione, mentre i paesi democratico-liberali cercano un delicato equilibrio tra competitività economica, logiche di mercato e tutela dei diritti civili. Queste prospettive radicalmente differenti si riverberano poi sui negoziati internazionali, rendendo difficile un consenso su standard comuni. Resta il fatto che dovremo riflettere su come limitare i rischi collettivi e tutelare i diritti degli individui. Dal punto di vista normativo l’Unione Europea ha compiuto un primo passo importante, basato sui livelli di rischio dei vari sistemi di IA nelle loro applicazioni al mercato unico. L’industria europea peraltro ha alcune importanti nicchie di eccellenza, ma continua a scontare un divario competitivo rispetto ai grandi attori americani e asiatici. Anche se ci saranno aggiustamenti, precisazioni e aggiornamenti resta l’impressione che, nell’approccio europeo, il tema “rischio” prevalga nettamente su quello delle opportunità. Pur arrivando a diffondere un messaggio pubblico quasi del tutto basato sui pericoli e sul lato oscuro delle nuove tecnologie, non si arriva però a parlare di freno allo sviluppo dell’IA. Le varie applicazioni dell’IA potrebbero portare alla perdita di controllo, quella che i tecnologi hanno denominato “singolarità”. Per affrontare questa sfida davvero esistenziale Aspenia ritiene che si debba evitare un atteggiamento apocalittico o disfattista, partendo invece dalla questione fondamentale, dal concetto stesso di “intelligenza”: tutt’altro che univoco e condiviso perfino per i neurobiologi, oltre che per psicologi e filosofi. L’intelligenza umana è sociale, e non soltanto individuale; ne deriva che storicamente il maggiore punto di forza evolutivo della nostra specie è stata la cultura, cioè la capacità di tramandare le conoscenze e dunque di edificare nuove idee sulle idee sviluppate da altri individui. Come dice Patrick Tort “per l’umanità in termini semplificati, la selezione naturale seleziona la civilizzazione”, una dinamica che consente di tenere assieme la “singolarità umana”, l’inscindibile legame con i fattori biologici e l’insieme della natura. Quindi altrettanto importante è una visione umanistica della scienza - della scienza pura, prima ancora che di quella applicata - fondata sull’assunto che il metodo scientifico scaturisce proprio dal cervello umano in quanto modo specifico di guardare alla “natura” - essa stessa una definizione culturale e dunque, in buona misura, una creazione umana. È un campo in cui Aspen Italia lavora ormai da diversi anni, insieme ad Aspen USA, con un programma specifico sull’importanza dell’investimento nella “scienza pura”. Come vale per la clava improvvisata che viene brandita dalla grande scimmia di “2001: Odissea nello spazio”, con lo stesso strumento si può rompere un oggetto, uccidere un proprio simile, migliorare le condizioni di vita, costruire astronavi. Il modo specifico in cui la rivista cerca sempre di utilizzare l’intelligenza individuale e aggregata dei nostri autori è tutto sommato fiducioso nel progresso. E Aspenia resta di questa idea.



Aspenia 2 2023


Aspenia 2 2023
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Author : AA.VV.
language : it
Publisher: Gruppo 24 Ore
Release Date : 2023-06-26T00:00:00+02:00

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Aspenia, la rivista trimestrale di Aspen Institute Italia diretta da Marta Dassù, è stata fondata nel 1995 e, dal 2002, è pubblicata da Il Sole 24 Ore. Al numero in uscita a fine giugno “Popolazione e potere” hanno contribuito tra gli altri Claudio Descalzi, Nicholas Eberstadt, Alessandro Rosina, Gian Carlo Blangiardo, Marina Valensise, Carlo Jean, John Zogby, Pramit Pal Chaudhuri, Adam Tooze, Lapo Pistelli, Andrew Spannaus, Stefano Cingolani. In un mondo che oggi supera gli 8 miliardi di persone torna sempre di attualità il grande dibattito:“ siamo già troppi - viste le risorse del pianeta e l’urgenza dei problemi ambientali - o siamo troppo pochi?” Il vantaggio demografico degli Stati Uniti, parte integrante della costruzione della superpotenza americana, comincia parzialmente a ridursi; mentre un vero e proprio inverno demografico investe ormai non solo i casi tradizionali di Italia e Giappone, ma anche la Cina, soppiantata dall’India come paese più popoloso al mondo, e la Russia, dove il declino delle risorse umane rafforza lo scarto esistente fra la realtà dei numeri e le illusioni imperiali di Vladimir Putin. La riduzione delle nascite riguarda ormai paesi “inattesi”, come Brasile, Messico e Thailandia. A ritmi più ridotti di un tempo, continuerà invece a crescere una parte del Medio Oriente e dell’Asia meridionale. La nuova geografia della demografia avrà nel tempo implicazioni molto rilevanti per gli equilibri economici globali, i flussi migratori e la sostenibilità dei sistemi di welfare. Demografia e democrazia condividono ovviamente una parte dell’etimo – appunto, quello relativo al “popolo”. La condivisione è in realtà anche più profonda, perché in entrambi i settori è fondamentale il processo della quantificazione delle persone in quanto cittadini: nel primo caso a fini di conoscenza e pianificazione, nel secondo caso a fini di espressione del grado di consenso politico e costruzione di maggioranze. I sondaggi e le analisi statistiche sulla composizione dell’elettorato sono proprio il punto di incontro tra diritto di voto, istituzioni rappresentative e studio rigoroso della popolazione. Ecco allora che la demografia “classica”, quella raffigurata e quantificata dai censimenti, incontra i fenomeni globali; diventa così ancora più dinamica, incorporando i flussi migratori ma anche le influenze indirette dei mercati del lavoro e delle filiere produttive in luoghi fisicamente lontani: i grandi o perfino i piccoli squilibri nell’andamento della popolazione, delle nascite, dell’invecchiamento, degli spostamenti geografici si traducono in rapporti di potere, di scambio, di competizione e cooperazione. Una fotografia globale sulle politiche per la natalità offre un quadro “misto”: l’ultimo rapporto ONU sul tema (“World Population Policies 2021 – Policies related to fertility”) sottolinea che una maggioranza di paesi sta tuttora puntando a ridurre i tassi di crescita della popolazione, ma il numero di governi che tentano di aumentare la fertilità è triplicato dalla metà degli anni Settanta. Altri studi recenti dimostrano che è comunque difficile invertire le tendenze in atto, come indicano in particolare i casi (con i tassi di natalità tra i più bassi al mondo) di Giappone e Corea del Sud, a fronte di grandi risorse investite per incentivare le nascite. Il punto è che davvero non ci sono ricette demografiche buone per tutte le stagioni, per tutti i luoghi e per tutti i livelli di benessere: molto, moltissimo, dipende dal contesto economico e istituzionale. Nelle quindici principali economie del mondo, per livello di PIL, il tasso di fecondità è oggi inferiore al tasso di sostituzione. Questo pattern include Cina e India, che assommano più di un terzo della popolazione mondiale. Ne risulteranno difficoltà evidenti per le nuove generazioni, in un mondo in cui la quota di popolazione anziana aumenterà progressivamente. Sviluppo economico e riduzione della fecondità si sono spesso combinati: questo varrà anche per l’Africa, Le politiche pro-natalità ben mirate sono importanti per riequilibrare il rapporto fra generazioni, ma in vari casi hanno dato pochi risultati. Alla fine, quindi, è probabile che il “baby bust” sia destinato a continuare. E che una risposta alla rivoluzione demografica possa venire dalla rivoluzione tecnologica. Se, come sembra, questo secolo sarà fortemente influenzato da una doppia rivoluzione – demografica e tecnologica – i paesi capaci di generare, educare o attrarre le risorse umane migliori saranno anche quelli destinati a prevalere.



Aspenia 4 2023


Aspenia 4 2023
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Author : AA.VV.
language : it
Publisher: Gruppo 24 Ore
Release Date : 2023-12-27T00:00:00+01:00

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Aspenia, la rivista trimestrale di Aspen Institute Italia diretta da Marta Dassù, è stata fondata nel 1995 e, dal 2002, è pubblicata da Il Sole 24 Ore. Al numero in uscita a fine dicembre “La debolezza della potenza” hanno contribuito tra gli altri Robert Gates, Arrigo Sadun, John Bessler, Walter Russell Mead, Julian Lindley-French, Adam Tooze e Nicola Pedde, Thomas J. Duesterberg, Andrew Spannaus, Eric B. Schnurer, John C. Hulsman, Adam S. Posen e Carlo Jean. Il mondo pare trovarsi in una classica fase di interregno, come altre volte nella storia, in cui un vecchio ordine decade ma il nuovo ordine ancora non esiste. Incerti sono il presente e il futuro della “Pax americana”, ossia il sistema di regole e istituzioni internazionali prodotte dalla Seconda guerra mondiale e gradualmente allargate nel post-1989. Ma viene da chiedersi se, soprattutto, possa esistere ancora un attore egemonico disposto a difendere tale sistema. Farsi una domanda del genere è già di per sé un attestato del ruolo unico che gli Stati Uniti occupano tuttora sul piano globale. Così l’America, potenza preminente ma non più dominante, ha scelte difficili da compiere. A maggior ragione quando, come da alcuni anni a questa parte, quella potenza è indebolita all’interno da una disfunzione grave del suo meccanismo politico-istituzionale, con una fortissima polarizzazione tra i due partiti e con fratture dentro i partiti stessi. La tesi di Aspenia è in effetti che stia qui, nella debolezza interna, il maggiore rischio per gli Stati Uniti. È evidente una crisi di leadership, in parte di tipo generazionale: né Joe Biden né Donald Trump incarnano le aspirazioni e le priorità di gran parte degli elettori americani, ma il sistema elettorale ha finora impedito l’emergere di credibili candidati alternativi. Non esiste un ricambio naturale: Biden è fortemente danneggiato dal fattore età, ma ritiene di essere ancora il migliore candidato possibile per battere Trump, esito non avvalorato dai sondaggi attuali e dalla frattura probabile della coalizione democratica. La corsa di Biden verrà complicata dall’esistenza di terzi candidati, mentre Trump probabilmente si aggiudicherà la nomination repubblicana. E avrà il vantaggio di potersi battere contro un sistema che molti americani hanno smesso di apprezzare, mentre Biden ne è fino in fondo un rappresentante. Il rischio, per il novembre 2024, è che si profili, quindi, lo scenario di una vittoria elettorale comunque impopolare, a seguito di un voto concesso controvoglia e senza entusiasmo. Vista la crisi di fiducia nelle istituzioni, esistono tutte le premesse di una deriva della democrazia americana. In questo quadro Pechino e i suoi pseudoalleati (perché nessuno di loro accetta davvero di definirsi tale) possono contribuire alla disgregazione parziale della Pax americana – e lo fanno. Ma non sono in grado di offrire un modello alternativo, né interno né internazionale. L’Occidente, nonostante tutto, dispone di un modello politico-sociale ancora valido e di importanti leve economiche. E al cuore dell’Occidente – pur con tutte le difficoltà interne e i dubbi su un ruolo internazionale – restano gli Stati Uniti. Quando si parla di una nuova“guerra fredda” fra Cina e Stati Uniti, si parla, insomma, anche di una competizione, o forse una diretta contrapposizione, tra modelli politici. Pur con i suoi molti difetti, il modello americano resta più attraente. Come quello europeo, se guardiamo esclusivamente al “soft power”. A volte sembra prevalere uno strano pudore nel fare questa semplice affermazione. La sfida, per gli Stati Uniti e per l’Europa, diventa come gestire una Cina che non riesce più a trainare la crescita globale ma cerca di influenzarla e condizionarla: non c’è solo l’acquisizione delle materie prime strategiche per la transizione sostenibile (e delle loro intere filiere), ma anche lo sfruttamento sistematico della grande massa di Big Data di cui dispone Pechino, e il controllo di infrastrutture e nodi strategici per il commercio internazionale. Intanto stanno venendo al pettine i ben noti limiti del miracolo cinese, con i difetti di un sistema politico quasi asfissiato dall’accentramento di Xi. E ciò accade nel momento peggiore per la Cina, quando Washington e molti suoi alleati hanno attivato misure di contrasto diretto e indiretto verso la penetrazione di Pechino. Il paradosso è che i comportamenti cinesi stanno contribuendo in modo decisivo a frammentare la globalizzazione, cioè proprio la dinamica che ha arricchito la potenza asiatica e l’ha resa più potente nel corso di oltre tre decenni. È una scommessa ad altissimo rischio per Pechino, perché in estrema sintesi la Cina è meno forte di quanto si pensi, mentre l’America è più forte di quanto si dica.



Aspenia N 74 Paure Americane


Aspenia N 74 Paure Americane
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Author : Aa.vv.
language : it
Publisher: Gruppo 24 Ore
Release Date : 2017-01-25T00:00:00+01:00

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L'eterno, sconfinato ideale del "sogno americano" appartiene ormai al passato, e gli americani di oggi possono al massimo aspettarsi una crescita mediocre, invece della possibilità di avere una vita migliore di quella dei loro genitori. Un tale abbassamento del potenziale tenore di vita avrà conseguenze ovvie ed estremamente negative, dal punto di vista economico e sociale. Per quanto gli ultimi dati segnalino una ripresa del reddito medio nel 2015 (con la prima svolta importante dalla crisi del 2008) conta anche l'autopercezione: la classe media americana continua a sentirsi in difficoltà.



Red Book


Red Book
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Author : Larry K. Pickering
language : en
Publisher:
Release Date : 2012

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Developed by the AAP (American Academy of Pediatrics) Committee on Infectious Diseases in conjunction with the CDC (Centers for disease control), the FDA (Food and drug administration), and other leading institutions with contributions from hundreds of physicians nationwide, the newly revised and updated 2012 Red Book continues the tradition of excellence with the latest findings and clinical recommendations on the manifestations, etiology, epidemiology, diagnosis, and treatment of more than 200 childhood conditions. [Ed.].



Aspenia N 83


Aspenia N 83
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Author : Aa.vv.
language : it
Publisher: Gruppo 24 Ore
Release Date : 2019-04-04T00:00:00+02:00

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L'America del prossimo biennio, in vista delle presidenziali 2020, è divisa da profonde fratture ma non è un paese paralizzato. E' anzi una società in continuo e rapido movimento. Il sistema politico riflette le dinamiche sociali in modo mediato, naturalmente, attraverso le lenti distorte del sistema elettorale - come accade del resto in ogni democrazia contemporanea, visto che il meccanismo di voto non è mai davvero neutro. Ciò è vero più che mai nel caso degli Stati Uniti, dove la forte spinta maggioritaria delle leggi elettorali (quasi tutte quelle dei singoli Stati e senza dubbio quella per la presidenza) tende a consolidare un quadro bipartitico, cioè spaccato lungo la linea ideale del centro politico.



Aspenia N 100


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Author : AA.VV.
language : it
Publisher: Gruppo 24 Ore
Release Date : 2023-03-27T00:00:00+02:00

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Aspenia, la rivista trimestrale di Aspen Institute Italia diretta da Marta Dassù, raggiunge il traguardo del numero 100. È stata fondata nel 1995 e, dal 2002, è pubblicata da Il Sole 24 Ore. “Una rivista di discussione transatlantica – la definisce il Presidente Giulio Tremonti – che rappresenta un luogo di incontro tra mondo delle imprese e altri mondi”. Secondo il suo fondatore Giuliano Amato “Aspenia è una rivista “responsabile” che è riuscita a stare dalla parte della storia e della sua velocità. Nessuno dei grandi temi degli ultimi anni è assente dalle sue pagine”. Come spiega Marta Dassù “Aspenia ha anticipato spesso i grandi mutamenti della politica e dell’economia internazionale e interpretato la trasformazione del sistema occidentale negli ultimi decenni”. Il numero 100 della rivista - in uscita a fine marzo- è interamente dedicato all’Italia o meglio a “Noi Italiani”, quasi una sorta di “rovesciamento” della sintesi attribuita (forse erroneamente) a Massimo D’Azeglio, per cui al momento dell’Unità si era fatta l’Italia, ma andavano a quel punto fatti gli italiani. Si è piuttosto di fronte a un circolo vizioso, per cui i limiti della società civile sono legati a doppio filo con quelli del sistema paese? E, allora, come si ricompone il “puzzle Italia” ? Hanno contribuito al numero 100 di Aspenia, tra gli altri, Giuliano Amato, Giulio Tremonti, Massimo Livi Bacci, Lucio Caracciolo, Michele Valensise, Mario Del Pero, Giulio Sapelli, Antonio Calabrò, Stefano Cingolani, Maria Latella, Marina Valensise, Gianni Riotta, Federico Rampini e Carlo Jean. L’Italia si porta dietro dalla sua stessa nascita come Stato, con il Regno di Sardegna, i Savoia e l’opera di unificazione guidata da Cavour l’annosa questione del rapporto tra rango, ruolo e presenza stabile nei maggiori consessi internazionali. Cavour riuscì a creare, tra i “paesi di prim’ordine” un’accondiscendenza adeguata alle esigenze di un “paese di second’ordine” – la futura Italia. La domanda da porre oggi – spiega nell’editoriale di apertura Giuliano Amato – è “se siamo ancora un paese di second’ordine”. Certamente abbiamo avuto degli sprazzi da paese di prim’ordine, come dimostra la storia dell’integrazione europea: quattro paesi con eguale diritto di voto in Consiglio – Germania, Francia, Gran Bretagna e Italia. L’unione monetaria nasce, così come Schengen, da un’intesa franco-tedesca a cui l’Italia si è aggregata con un sostegno attivo. Inoltre, dall’Atto unico di Milano nel 1986 ha preso il via il completamento del mercato unico. E nel 1992 l’Italia ha dato il suo assenso al fondo europeo di coesione, passando così da beneficiario netto a contributore netto. Oggi, con l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue, l’Italia assume un ruolo ancora più strategico. Nell’ottica di quella che Janet Yellen, ha definito “globalization among friends”, si può pensare a rilanciare il Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti che si arenò nel 2016 e perseguirlo in modo selettivo, per quei prodotti e servizi in cui si mira ad una vera autonomia strategica dalle supply chain globali. L’Italia può diventare l’ago della bilancia in ambito di Consiglio europeo, e questo permetterebbe di compiere progressi verso una politica industriale europea. Dare una valutazione oggettiva dell’Italia come sistema-paese può disorientare l’osservatore: esistono evidenti punti di debolezza, antiche questioni culturali irrisolte, carenze istituzionali. Eppure, ci sono anche nicchie di eccellenza e una tenuta complessiva che emerge soprattutto nei momenti di crisi. C’è quindi da risolvere un “puzzle Italia”. Partendo da una consapevolezza: l’Italia è oggi – come sostiene Giulio Tremonti – “l’unico paese in Europa fortemente duale, ovvero caratterizzato, al suo interno, da una enorme differenza tra Nord e Sud. Negli anni Novanta, anche per colmare tale divario, si è innescato il meccanismo perverso del debito pubblico trasformando così la democrazia italiana in una malata ‘democrazia del deficit’. Dal 1992, anche per effetto del cosiddetto vincolo esterno, la tendenza alla crescita del debito pubblico è stata invertita ma, nonostante tutto, lo stock abnorme del debito pubblico è rimasto, così condizionando tra l’altro anche la posizione internazionale dell’Italia”. Inoltre “l’intero perimetro della pubblica amministrazione - prosegue Tremonti - è stato trasformato in un gigantesco self-service e la nuova architettura istituzionale è stata congiuntamente basata sulla doppia formula: decentramento più federalismo. Non l’uno in alternativa all’altro, ma – caso unico nel mondo occidentale – tutti e due insieme”. Contestualmente, nel crescente benessere hanno preso forma, soprattutto in Italia, il pensiero debole, il relativismo, il sincretismo, il presentismo, un populismo che si faceva sempre più leggero, nella foresta delle contraddizioni. Secondo il Presidente di Aspen Institute Italia la divisione prevale sull’unione, lo smarrimento e la paura prevalgono sulla speranza, la rassegnazione sull’orgoglio, l’urlo sulla voce, l’irrazionale sul razionale, i desideri prevalgono tanto sui bisogni quanto sui doveri, la propaganda sulla realtà e l’anarchia sulla gerarchia. “Non siamo - sostiene Tremonti - davanti alla fine della storia, ma davanti al principio possibile di una nuova storia. Questo è il fine cui si può e si deve mirare e, in una logica non di sterile lotta, ma di impegno per il bene comune, condividendo una visione. Non tutto ciò che è essenziale e morale è nel PIL, ma è nell’orgoglio e nel sentimento di una partecipazione collettiva basata sulla nostra identità, risalendo dalle origini del romanticismo di Mazzini e passando dal pragmatismo di Cavour”.



Aspenia N 85


Aspenia N 85
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Author : Aa.vv.
language : it
Publisher: Gruppo 24 Ore
Release Date : 2019-07-04T00:00:00+02:00

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Le nuove frontiere dell'intelligenza artificiale richiedono il massimo esercizio dell'intelligenza umana per sfruttarne al meglio le opportunità e contenerne i rischi. Non è ancora esattamente così: la sintesi di questo numero di Aspenia è che la corsa tecnologica, con i suoi risvolti geopolitici, economici, sociali, etici, si stia piuttosto trasformando in una guerra di nervi - quanto di più umano ma poco razionale ci sia. Prevale, per ora, l'impatto "disruptive", dirompente, di una rivoluzione tecnologica che produce algoritmi sempre più raffinati e che alimenta, con un enorme flusso di dati, i meccanismi del "machine learning": le macchine che imparano in modo autonomo, senza bisogno di interventi umani.



Aspenia 3 2023


Aspenia 3 2023
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Author : AA.VV.
language : it
Publisher: Gruppo 24 Ore
Release Date : 2023-10-06T00:00:00+02:00

Aspenia 3 2023 written by AA.VV. and has been published by Gruppo 24 Ore this book supported file pdf, txt, epub, kindle and other format this book has been release on 2023-10-06T00:00:00+02:00 with Business & Economics categories.


L’Europa di oggi rischia molto: la combinazione fra l’”età della policrisi” – ovvero crisi finanziaria e del debito sovrano ( 2008-2011), pandemia (2019-21), guerra tecnologica tra Stati Uniti - Cina e, infine, il ritorno della guerra in Europa con l’aggressione russa all’Ucraina nel febbraio 2022 – imporrebbero, per sostenere una vera “capacità strategica”, una risposta più efficace sulle grandi sfide comuni come sicurezza, energia, migrazioni e politiche fiscali. In più - quando la guerra in Ucraina finirà - in Europa torneranno ad emergere, e anche in forma più acuta, i contrasti nord-sud in materia fiscale - già riemersi dalle discussioni sulle scelte della Banca centrale e la revisione del Patto di Stabilità - e quelli est-ovest in materia di politica estera e perfino di stato di diritto. Su materie cruciali gli europei restano divisi: le migrazioni sono solo la punta dell’iceberg e su altri temi le percezioni continuano a divergere – ad esempio cosa fare in futuro con la Russia - e riemerge dagli armadi un dibattito sul Patto di Stabilità che si fa molta fatica a non definire “antistorico”. Il centro di gravità dell’UE si sta in parte spostando a est, verso una Polonia che l’Italia di Giorgia Meloni considerava un alleato certo per poi scoprire, nel suo nuovo europeismo pragmatico, che così non è. Perlomeno in campi – la gestione della politica migratoria – cruciali per noi. Nel frattempo, la rottura con la Russia, diventata nei fatti junior partner di una Cina che Mosca non ama e non ha mai amato, ha contribuito alla crisi del modello industriale tedesco, cui si collega una parte rilevante della nostra economia: il nuovo pessimismo sulla Germania, che è in recessione tecnica e dove l’AfD è ormai il secondo partito nazionale, appare giustificato. La Francia di Macron non sta messa molto meglio, fra ambizioni sproporzionate all’esterno – “esposte” come mai prima dalla successione di colpi di Stato nel Sahel – e fragilità interne. Ci vorrebbe un’Europa che funzioni sulla base di una sovranità “condivisa”. Non “ceduta” a Bruxelles; ma “condivisa” dagli Stati nazionali che si servono di istituzioni comuni. È il passaggio intellettuale da compiere: anche rifuggendo da una prospettiva federale, un’Unione di Stati nazionali ha bisogno, per funzionare, di sforzi congiunti e di investimenti comuni molto più rilevanti. Il tasso di competizione interna resterà; ma in un contesto cooperativo necessario e almeno in parte integrato. La discussione sull’Europa, che è alla vigilia di elezioni cruciali (giugno 2024) per definire le prossime maggioranze politiche, avviene in un contesto internazionale in cui il vecchio ordine a guida occidentale è contestato. Il ruolo delle potenze di mezzo, tutte più o meno convinte dei limiti delle istituzioni plasmate dall’Occidente, condiziona gli equilibri internazionali. Ma questo non significa che il “Sud globale” riuscirà a produrre, con l’allargamento dei BRICS a sei nuovi e disparati paesi (Argentina, Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti), un ordine internazionale alternativo a quello occidentale. Sul piano geopolitico l’Occidente appare ricompattato, anche se ristretto, con un vantaggio netto degli Stati Uniti rispetto all’Europa, che ha perso ulteriormente competitività negli ultimi dieci anni, così come il Giappone, rispetto all’America; la Russia si è spostata verso la Cina, di cui è nei fatti diventata uno Stato vassallo; la rivalità tecnologica fra Pechino e Washington è la forma che sta assumendo la guerra fredda 2.0 fra le potenze del secolo. Mentre il Golfo aumenta di importanza - energia e forza finanziaria - l’Africa saheliana vive una stagione di colpi di Stato, l’Argentina guarda di nuovo al dollaro, i paesi asiatici rafforzano i legami di sicurezza con gli Stati Uniti e quelli economici con la Cina. La Russia dal canto suo non ha mai accettato di aver perso la guerra fredda, mentre gli Stati Uniti hanno gestito il dopo-1989 come una vittoria – e la era. Putin cerca di rifarsi in Ucraina con enormi tragedie e distruzioni. Il rublo cade, ma la Russia regge, grazie alla combinazione fra le dinamiche tipiche di un’economia di guerra e l’aggiramento delle sanzioni. Il Cremlino ha la forza economica per continuare la guerra: e il calcolo di Mosca è che il tempo giochi a proprio favore, nella convinzione che il fronte occidentale finirà per sfaldarsi e che, con l’andare dei mesi, la maggiore “quantità” delle riserve a disposizione della Russia diventerà “qualità” sul campo di battaglia. Ma Putin ha già perso sul piano politico, qualunque sia l’esito finale sul terreno. Piuttosto, quello che un Putin indebolito teme maggiormente è una rivolta dei militari, che si contrappongono al suo “cerchio magico”. E combatte, ormai è chiaro, un conflitto su due fronti: quello esterno e quello interno, accomunati dal ruolo chiave dei militari e dei servizi di sicurezza. Per ora conta che il sostegno occidentale tenga: sfilarsi dalla partita ucraina equivarrebbe a una resa anche dell’Europa e degli Stati Uniti, dopo la quantità di aiuti militari e finanziari impegnati. La posta in gioco è diventata troppo alta per tutti. Al numero in uscita in ottobre Battaglie per l’Europa hanno contribuito tra gli altri Charles Grant, Heather Grabbe, Wolfgang Münchau, Michele Valensise, Paolo Guerrieri, Pramit Pal Chaudhuri, Erik Jones, Sergio Fabbrini, Julian Lindley-French, Stefano Cingolani, Faisal J. Abbas, Antonella Scott, Alexander Baunov, Carlo Bastasin e Alexey Gromyko.